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‘Com’è possibile che quest’anno abbia guadagnato meno se ho venduto di più?’

Ecco la frase tipica dell’imprenditore che è convinto che l’aumento delle vendite sia sempre un toccasana per l’azienda. In via di principio è vero: più aumentano le vendite ‘sane’, cioè quelle con un margine commerciale positivo (e con il pagamento del corrispettivo), più è possibile coprire i costi fissi e quindi raggiungere e superare il ‘punto di pareggio’.

Ci sono casi in cui l’andamento della prima e dell’ultima riga di bilancio non sono coerenti. Provo a fare un elenco di queste situazioni senza la pretesa che sia esaustivo:

  1. le vendite ‘rompighiaccio’: sono introdotte da frasi del tipo ‘se vendiamo al signor ‘x’ vedrai in quanti lo imiteranno’ oppure ‘bisogna che facciamo qualche vendita, anche forzata, per farci conoscere dal mercato’. Non ho mai trovato alcun vantaggio da queste operazioni commerciali. Gli opinion leader che sono diventati testimonial, lo sono stati per l’esperienza che hanno vissuto col prodotto/servizio e non per lo sconto di cui hanno goduto, e non ho mai visto aziende entrare sul mercato con politiche di prezzo aggressive per poi riuscire a riposizionarle con successo verso l’alto;
  2. le vendite ‘questo te lo regalo’: tipicamente il trasporto o l’installazione. Quei servizi accessori che, se non sono chiaramente collegati ad un listino, per il venditore di turno costano sempre poco. State sicuri che il cliente richiamerà il vostro tecnico per ogni bazzecola: tanto non costa nulla;
  3. le vendite ‘boomerang’: sono quelle che pongono in capo all’azienda delle prestazioni successive alla vendita che rischiano di vanificare il valore creato. La situazione tipica è l’allungamento del periodo di garanzia. Quando, dopo un periodo d’uso eccessivo, arriverà il costo della manutenzione, peserà sul bilancio d’esercizio, pur essendo relativo ad una vendita di 2-3 anni prima che, a conti fatti, potrebbe risultare sottocosto;
  4. le vendite ‘col pacco’: c’è un usato da ritirare? Allora il rischio di rientrare in questa categoria è alto. I pericoli sono due e non so quale preferire. Il primo è di carattere economico: se il prodotto ritirato non è stato valutato in modo corretto si genererà un margine negativo. Difficilmente l’azienda risalirà all’evento che lo ha generato. Il secondo è di carattere finanziario: se aspetti il cliente giusto, quello che acquisterà l’usato almeno al suo valore di acquisto, il cash flow ne risentirà. Il magazzino crescerà e forse lo dovrai finanziare, col conseguente aumento dei relativi oneri e degli accantonamenti per far fronte alla probabile svalutazione del magazzino.

Gli amanti del trekking definirebbero tutte queste delle scorciatoie. Osservandoli con attenzione sono artefici commerciali che non si focalizzano sull’essenza della relazione con il cliente: proporre il valore intrinseco del prodotto/servizio.

Spesso ripeto che il venditore parla di prezzo quando non ha altro da dire. Quanto elencato sopra è solo una variazione sul tema. Mi ricorda tanto quelle scene dei film western in cui i pellerossa a cavallo trainavano dei cespugli, alzando un polverone in modo da sembrare chissà quale moltitudine. La polvere non ha mai cosentito di vincere battaglie, perchè ha il brutto vizio – prima o dopo – di abbassarsi e mettere a nudo il reale valore delle forze in campo.

Un mio cliente sintetizza l’essenza di queste dinamiche con una frase semplice ma di una verità disarmante’: ‘per vendere bisogna andare a vendere’. E quando una scorciatoia fa sognare una vendita facile, l’incubo è sempre dietro l’angolo.

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