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Un mare turbolento è ben descritto dall’acronimo VICA. Traduzione dall’inglese VUCA, inventato dall’esercito statunitense alla fine della guerra fredda, per descrivere una situazione con modelli previsionali poco definibili. Infatti è composto dai seguenti sostantivi:

  • VOLATILITÀ: costante instabilità che non consente l’individuazione di rapporti causa-effetto;
  • INCERTEZZA (Uncertainty): quando la conoscenza del passato non basta per prevedere il futuro in modo attendibile e diventa difficile pianificare;
  • COMPLESSITÀ: le connessioni tra ambiti e piani diversi sono così intense che non esiste più la decisione ‘giusta’, ma ci sono più opzioni con impatti diversi da valutare;
  • AMBIGUITÀ: le scelte stressano continuamente il sistema valoriale e quello che è ‘bene’ viene messo in discussione continuamente.

La domanda che sorge spontanea è: in una situazione di questo tipo, con sollecitazioni continue all’assetto e all’equilibrio, ha ancora senso definire una rotta?

La prima riflessione è: 

le rotte hanno senso ogni volta che è importante approdare ad un porto. 

Il porto è il luogo dove la nave scarica, dove viene riconosciuto il valore che ha creato. Per le aziende, il porto è dove risiede il loro vantaggio competitivo. 

Avere un vantaggio competitivo è ancora indispensabile. È fondamentale conoscerlo, difenderlo, consolidarlo e innovarlo. Ma senza la prospettiva di un porto dove attraccare si è destinati ad affondare. Certo oggi i vantaggi competitivi si esauriscono velocemente. Quindi si è chiamati a cambiare porto spesso. Ma senza rotte sarebbe solo questione di fortuna. E, come sappiamo, la fortuna non è un modello di business.

La seconda riflessione è che ogni rotta presuppone investimenti, per configurare la nave più adatta per il mare che si vorrà navigare. Investimenti che non riuscirebbero mai a creare valore se il cambiamento della direzione fosse continuo. E oggi sono pochi i modelli di business che possono vantare la possibilità di assetti variabili senza costi ulteriori. La coerenza con la rotta è quindi questione di sostenibilità. 

Sicuramente la turbolenza non consente più di aspettare che sia il capitano a dare gli ordini. I cambiamenti sono così repentini che tutti sul ponte devono sapere cosa fare e come muoversi. Questo presuppone un equipaggio che condivide uno stile di navigazione comune. Senza una cultura comune nessuna comunità e organizzazione sopravvive alla turbolenza. Perchè il tempo del convincersi a vicenda sulle decisione giusta da prendere, difficilmente ci sarà concesso dal mare in tempesta.

A questo punto sarebbe bello sapere: ma le aziende oggi quanto curano rotta ed equipaggio?

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