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Lo specchio è un oggetto particolare. Opera dell’ingegno umano, consente di andare oltre il naturale campo visivo. Nasce per permettere alle persone di osservarsi, verificare se sono esteticamente come si immaginano, e ipotizzare percorsi più o meno naturali per avvicinarsi al loro ideale.

L’immagine riflessa può, però, essere un fastidio. Quando manca la forza di pensare soluzioni migliorative, specchiarsi è faticoso e si preferisce non guardare.

Succede ogni giorno in azienda. Lo specchio dell’azienda sono le persone che la vivono, la sua organizzazione/comunità. Citando Steve Jobs: ‘Non ha senso assumere persone intelligenti per poi dire loro cosa fare, assumiamo persone intelligenti in modo che possano dirci cosa fare’.

Perchè l’organizzazione/comunità è specchio aziendale? Perchè come la ruga esiste a prescindere dal nostro specchiarsi, così le persone danno vita all’attività aziendale quotidianamente, a prescindere che noi riteniamo di coinvolgerle o meno.

Quando l’autostima è bassa si preferisce non vedere la propria immagine riflessa. Quello che potremmo trovare potrebbe non essere piacevole e invece che rappresentare un’opportunità diventerebbe una minaccia. Quando l’autostima è alta ci si guarda allo specchio. Ci si compiace dell’immagine che si trova e questo ci stimola anche a vedere in qualche difetto estetico la prossima sfida per migliorare.

Così accade ogni giorno con i collaboratori.

Quando l’autostima è bassa si ritiene che i collaboratori non siano pronti e/o maturi e si fa leva sull’animo formale dell’organizzazione caratterizzato dall’approccio gerarchico e dalla responsabilità specializzata. Quando l’autostima è alta, si coinvolge la comunità aziendale valorizzando l’autorevolezza, la leadership diffusa e la condivisione della conoscenza.

Non è un processo aziendale on/off. Ci si dimentica che lo specchio, ci piaccia o meno, semplicemente racconta. Un po’ come la ruga esiste anche se non ci si specchia, così tutte le azioni generate quotidianamente dalla comunità aziendale avvengono, definendo il modello di business aziendale. Non è detto che sia un processo consapevole e che sia coerente con la strategia elaborata a livello direzionale.

La comunità aziendale è mossa dall’anima dell’azienda: la cultura aziendale. E’ lo stile con cui si fanno le cose: si pensano i prodotti, ci si propone ai clienti, si gestisce il magazzino, si risponde al telefono, si rispettano le scadenze, si intendono diversità e relazioni di potere. La cultura aziendale è alimentata dalla cultura personale di ogni singolo collaboratore aziendale. Ma non ne è la semplice somma, perchè quando viene condivisa, genera – esponenzialmente – nuova cultura.

Nella turbolenza, di fronte ad elementi non prevedibili, la struttura formale (organizzazione) ha un sistema di comunicazione limitato nei tempi e nella qualità della risposta, causato dallo stile deresponsabilizzante che la caratterizza: l’indicazione strategica deve sempre arrivare dall’alto. La struttura informale, invece, da spazio ad un sistema di comunicazione orizzontale, a prescindere dai ruoli nell’organigramma, che valorizza lo spirito di iniziativa del singolo e il contributo che può dare all’innovazione strategica, agendo sulla leadership diffusa.

Entrambe queste anime hanno senso. Coinvolgere le persone, valorizzando il contributo che possono dare, deve andare di pari passo con la necessità che ci sia qualcuno che si prenda la responsabilità della gestione finanziaria. E’ quello che John Kotter chiama il ‘doppio sistema operativo‘ aziendale.

Lo scheletro del corpo aziendale è l’organigramma. Serve perchè la struttura abbia forma. Ma il cuore del corpo è il senso di appartenenza alla proposta aziendale delle persone che collaborano a vario titolo in azienda. Il loro contributo darà vita all’anima aziendale che è l’unicità della cultura che caratterizza quell’organizzazione. Una cultura aziendale che, a differenza della strategia, nessuno potrà mai copiare, perchè uniche sono le persone che la animano.

Immaginiamo che:

  • un’azienda riunisca in un agriturismo in collina i propri 50 dipendenti, dal Direttore Generale al venditore al magazziniere, per condividere come aumentare la fidelizzazione della clientela, dichiarando l’intento anticipatamente;
  • ci sia piena libertà di proposta da parte di tutti i partecipanti. Che si respiri aria di non giudizio e voglia di condivisione;
  • attraverso attività di brainstorming (Open Space Technology, World Cafè) emergano 8 proposte e che i 50 dipendenti abbiano modo di approfondirle facendole diventare delle proposte operative concrete;
  • alla fine della giornata queste proposte operative vengano votate per verificare il sentire comune quali ritiene più prioritarie;
  • vengano formati 2 team per dare seguito alle 2 proposte più votate e che questi team siano composti da persone con ruoli completamente diverse da loro e senza che valgano le relazioni gerarchiche. E se potessero lavorare solo fuori dall’orario di lavoro?
  • i 2 team organizzino la fase operativa misurando le performance e che in base a queste performance possano essere premiati;
  • a fronte di performance positive l’azienda scelga di far diventare queste iniziative processi aziendali e cambiamenti nell’organizzazione
  • questo si ripeta istituzionalmente 2 volte l’anno, ma che ci sia la possibilità di gruppi di lavoro autorganizzati da i dipendenti in ogni  momento, che devono poi cercare il consenso dei colleghi con votazione nella intranet aziendale.

Risultato: innovazione sul modello di business e coinvogimento delle persone.

Ho avuto la fortuna di sperimentare questo processo con Delfino Corti in organizzazioni che hanno avuto il coraggio di guardarsi allo specchio. L’immagine che hanno visto non era nè bella nè brutta. Era viva e vera. E le organizzazioni vive e vere sono uniche, proprio quello che il mercato premia.

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