Molti imprenditori pensano di poter scegliere se sia opportuno per la loro azienda dotarsi di una strategia. Purtroppo non è così: anche se non ne sono consapevoli, la loro azienda è già dotata di una strategia.
Ogni loro collaboratore, quotidianamente, compie una miriade di piccole o grandi scelte che danno forma all’identità con cui l’azienda opera e si propone sul mercato. E’ auspicabile che tali scelte siano caratterizzate dal perseguimento del bene aziendale.
Possono profilarsi due diversi tipi di scenario in cui l’organizzazione aziendale:
- è consapevole e ingaggiata con la strategia aziendale e la implementa con scelte coerenti;
- seppur animata da buone intenzioni, non ha un’idea condivisa e agisce senza controllo e con azioni non in armonia tra loro.
E’ assolutamente fisiologico che, pur vivendo la stessa quotidianità aziendale, le storie personali e professionali, i diversi coinvolgimenti emotivi o differenti ruoli aziendali, possano configurare diverse percezioni rispetto ai punti di forza e di debolezza dell’azienda e alle opportunità e alle minacce che si prospetteranno nel medio termine, rendendo così improbabile l’individuazione e il trasferimento dei valori distintivi sia internamente che esternamente.
La vera domanda che un imprenditore deve porsi non è se è opportuno o meno dare vita ad una strategia, ma se debba essere progettata e implementata in modo organico e strutturato o lasciata alla sensibilità e buona volontà di ogni singolo collaboratore aziendale.
Il pericolo è quello di generare una sorta di ‘strabismo’ tra come viene sognata la propria azienda dall’imprenditore e l’identità che viene invece generata dal comportamento dell’organizzazione aziendale.
Una strategia comune significa condividere: il linguaggio, le priorità, i metodi e il modo per misurare se gli obiettivi siano stati raggiunti o meno.
Non esiste processo aziendale più concreto della strategia, perché consente di spostare il focus dagli obiettivi alle modalità per raggiungerli.
Le aziende in cui la strategia non è progettata e condivisa, sono facilmente riconoscibili:
- Non esistono funzioni aziendali ma piccoli fortini dove anche l’imprenditore a volte fa fatica ad entrare;
- Le riunioni ‘ti rubo solo 5 minuti’ sono la norma, perché quelle più strutturate sono solitamente il palcoscenico dei soliti noti e l’importante è avere un buon alibi;
- Le riunioni ‘conclave’ si susseguono ed è alta la frustrazione per vedere i progetti prendere forma lentamente e con pretese ridimensionate rispetto alle ambiziose aspettative iniziali;
- Ognuno arriva sempre col proprio report, si fa fatica ad intendersi su come misurare le performance aziendali, per non parlare del raggiungimento degli obiettivi e se alla fine è stato realmente creato valore;
- I collaboratori aziendali sono solitamente convinti di andare oltre a quanto sarebbe di loro competenza e di dover continuamente porre rimedio ad emergenze;
- I progetti prendono forma in base alla ‘cotta’ del momento dell’imprenditore e dei manager di turno, e il focus resta fino alla ‘cotta’ successiva.
La strategia è il processo aziendale attraverso il quale si individuano le priorità che consentiranno all’azienda di creare valore. Non rendere chiaro a tutta l’organizzazione quali sono queste priorità significa condannarla ad un disordine inevitabile e crescente che non potrà che portare a distruzione di valore.
La strategia fa guadagnare tempo. Consente alle persone di avere ben chiaro su cosa concentrarsi ogni giorno, di confrontarsi sul modo migliore per raggiungere un obiettivo e di verificare se l’iniziativa posta in essere ha ottenuto i risultati sperati o è necessario individuare soluzioni alternative.
La strategia, infine, consente ad un gruppo di persone di attivare il gioco di squadra. Perché quando l’obiettivo è definito ognuno sarà concentrato su come contribuire al suo raggiungimento e non si perderà nello sterile ‘bla bla bla’ per difendere la propria zona di comfort.
L’unico tempo perso che ha a che fare con la strategia, è il tempo perso dall’azienda prima di progettare la propria. Perché quando si ha chiara la destinazione l’incertezza cede il passo alla speranza.