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L’imprenditore che si lamenta dei propri collaboratori è una costante. Non sono mai abbastanza responsabili e proattivi per supportare la sua intraprendenza.

Tanto concordo con la frase di Steve Jobs ‘Non ha senso assumere persone intelligenti e poi dire loro cosa fare. Noi assumiamo persone intelligenti in modo che possano dirci cosa fare ‘, quanto ritengo altrettanto giusto affermare che:

Non ha senso assumere persone che ci sottopongano o creino problemi. Noi assumiamo persone che ci risolvano i problemi.

Dopo un’affermazione del genere, al limite del populismo, solitamente parte la ola degli imprenditori. Sono convinto che il criterio per valutare il contributo di una persona all’organizzazione, sia pesare quanta positività apporta, contribuendo a risolvere i problemi, rispetto alla negatività della lamentela, dell’essere il SignorNo, del mancare sempre qualcosa per poter pretendere qualche risultato.

La ola finisce quando non nascondo che a generare questa situazione è, spesso, la grande tentazione, per qualsiasi imprenditore, di entrare nell’operatività, fino ai minimi dettagli, dei collaboratori. Questo significa che

l’oggetto del mandato dato al responsabile o coordinatore di turno non è un obiettivo e un risultato che responsabilizza, ma un ‘fare’ che deresponsabilizza.

Purtroppo ha ragione Dave Gray: Più il sistema è a prova di idiota, più le persone si comporteranno da idiota’.

Sarebbe bello, per esempio, che il responsabile della logistica arrivasse sottoponendo un problema da risolvere e proponendo la relativa soluzione. Pretenderlo, adducendo che è pagato proprio per questo, non basta. E’ necessario completare l’opera con altri due passaggi:

  1. condividere le linee guida: raccontare e motivare l’idea di magazzino, di movimentazione della merce, di ordine, di velocità di consegna. Come questi processi aziendali fanno parte di un sistema che mira a creare un valore distintivo. Quel valore che il cliente riconosce e paga, pagando indirettamente il suo stipendio. Ma anche ascoltare la sua sensibilità, non con lo spirito del ‘volemosse bene’, ma con l’intenzione di osservare quell’area aziendale dal punto di vista di chi la vive quotidianamente;
  2. condividere le performance attese: le linee guida devono essere tradotte in poche ma significative performance chiave. C’è bisogno di qualche numero che possa rappresentare il contributo dell’area aziendale alla creazione di valore, ed essere oggetto di confronto oggettivo, evitando estenuanti riunioni con all’ordine del giorno aria fritta. Nell’esempio sopra, il tempo di preparazione degli ordini, le differenze inventariali, ecc…

Poche aziende dotano concretamente i propri responsabili di un cruscotto adeguato al livello di condivisione necessario e composto da due elementi chiave:

  1. il navigatore: avere chiaro, visivamente, il modello di business aziendale, consentendo al manager di turno di poter contestualizzare ogni giorno le proprio scelte operative;
  2. il tachimetro e l’indicatore del consumo di carburante: per essere consapevoli puntualmente delle performance della struttura e del livello di utilizzo delle risorse rispetto al risultato generato.

Quando manca il navigatore troviamo collaboratori che scollegano la propria area dal resto dell’azienda, chiudendola dentro un recinto, dove anche l’imprenditore fa fatica ad entrare. Quando manca il tachimetro, troviamo collaboratori che continuano a chiedere risorse e a ritenere le performance della propria struttura già oltre il massimo possibile.

Chi ha dotato i propri ‘autisti’ di cruscotto, ha riscoperto il piacere di ricevere proposte di miglioramento dei processi aziendali a cui poter rispondere con un confortante ‘e io come posso darti una mano?’.

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