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Parlare di fiducia in azienda è una pratica per sognatori. 

Come quando chiesi alla guida cinese, in Piazza Tienanmen, se non sentissero la mancanza della democrazia: ‘la democrazia è una cosa romantica’ mi rispose.

Ritengo che la paradossale ‘sfiducia’ verso la fiducia sia una posizione di comodo. Si rappresenta una situazione del tipo ‘volemose bene’, se ne individuano i relativi rischi dovuti alla malvagità delle persone, e ci si chiude nella nostra rassicurante zona di comfort. Il motivo è un altro, non abbiamo voglia di affrontare il cambiamento che l’affidarci comporterebbe. Così perdiamo un sacco di soldi.

La definizione del vocabolario Treccani chiarisce come la fiducia non sia sinonimo di incoscienza e irresponsabilità. Bensì sia la valutazione di elementi oggettivi che danno senso all’affidarsi. 

Per dirla con la favola di Perrault/Grimm, fiducia non è pensare che attraversare il bosco per Cappuccetto Rosso sia come camminare leggiadra tra le attrazioni di un luna park.

Fiducia è una mamma che prova a delimitare l’esperienza della figlia facendosi promettere il rispetto di indicazioni chiare (non fermarsi per nessun motivo, non parlare con nessuno e camminare dritta verso la casa della nonna).

Oggi la fiducia è il vero motore del business. Le aziende che la usano come piattaforma per il loro modello di business si distinguono per valore di capitalizzazione, per numero di clienti e per risultati economici.

Ci è così scomodo pensarlo che facciamo finta che sia tutto merito della tecnologia.

Tripadvisor, AirBnb, Uber, Blablacar si basano sul meccanismo della fiducia. Vendono la loro capacità di collegare la disponibilità di stanze di hotel, tavoli di ristoranti, case/appartamenti (anche stanze o divani a dire il vero), auto con conducente o passaggi, coi possibili utilizzatori.

Il loro vantaggio competitivo non sta nell’applicazione tecnologica. Sta nell’essere riusciti a diventare un collettore di fiducia, nell’aver reso affidabile far entrare un estraneo in casa o salire nell’auto di uno sconosciuto.

Gli utilizzatori pagano questo valore, l’opportunità di dare fiducia, di allargare i propri orizzonti, di cambiare. Non è una fiducia riposta in una relazione di reciprocità. Non si fidano del proprietario dell’hotel, ristorante, casa o auto. Si fidano di una collettività che ha valutato, attraverso le recensioni, l’affidabilità di quel soggetto.

E’ una fiducia diffusa. Questo la rende unica.

L’elemento dirompente, non è la propensione a recensire, ma l’aver coinvolto gli utilizzatori. Averli chiamati a cooperare per un interesse che andava oltre alla relazione di convenienza economica.

Illuminante è la storia della cantante e compositrice statunitense Amanda Palmer. Dopo un deludente rapporto con una casa discografica decide di chiedere ai suoi fans di contribuire alla realizzazione del nuovo album e relativo tour, finanziandoli su Kickstarter. Riceve circa 25mila donanzioni per un totale di $ 1,2 milioni.

Un suo famoso TedTalk chiarisce la prospettiva corretta:

‘Credo che le persone siano ossessionate dalla domanda sbagliata, che è: “Come facciamo a far pagare la gente per la musica?” E se cominciassimo a chiedere: “Come consentiamo alla gente di pagare per la musica?”

Come ha fatto Amanda Palmer a far pagare così tanta gente?

‘La vera risposta è, non l’ho fatto. Gliel’ho chiesto. E semplicemente chiedendo alla gente, ho creato un legame con loro, e quando si crea un legame con loro, la gente vuole aiutare. È un po’ contrario alle aspettative di molti artisti. Non vogliono chiedere le cose. Ma non è facile. Non è facile chiedere. E per molti artisti è un problema. Chiedere rende vulnerabili.’

Questo potrebbe essere un insegnamento anche nelle relazioni organizzative? Chiedere ai collaboratori aziendali di cooperare non solo nei processi operativi, ma anche nelle formulazioni strategiche non potrebbe riservarci sorprese tipo Kickstarter per Amanda Palmer?

Confesso, non ho ancora capito se i vari leader aziendali si privano dell’opportunità data dalla cooperazione perché ritengono di essere profetici o perché, come dice Amanda Palmer, chiedere rende vulnerabili.

Sacrificano un’opportunità reale, dare fiducia e innescare meccanismi di creazione del valore, sull’altare del proprio comfort. Con buona pace della spirale che innescano, fatta di attività di controllo, incentivi per obiettivi, attività di team building, e chissà cos’altro.

Dave Gray sintetizza tutto questo in modo magistrale:

‘La maggior parte dei confini sono finzioni convenienti’.

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